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GIUSTIZIA A OROLOGERIA | DI FRANCESCO DI CASTRI

12 Dicembre 2022

GIUSTIZIA A OROLOGERIA | DI FRANCESCO DI CASTRI

Pausa dalla pausa. Mi ero preso una pausa dal commentare il calcio giocato, dopo lo schifo (non trovo altri termini) di Juve-Salernitana dell’undici settembre scorso.
Schifo che mi ha causato un rigurgito, non già nella passione, attenzione, perché quella è ormai sedimentata in me, tant’è vero che a breve uscirà un nuovo libro sull’argomento “Juve” (non spoilero); il rigurgito di cui sopra però mi impedisce di commentare serenamente i fatti di campo.
Lo schifo è dovuto al comportamento di alcuni giocatori (ma non è neanche tutta colpa loro), al comportamento dello staff tecnico (ma non è neanche tutta colpa loro), al silenzio assoluto della società di fronte ai soprusi subiti (ma non è neanche tutta colpa loro) e schifo che diventa totale per come veniamo sistematicamente trattati.
Giacché in passato è stato fatto passare un determinato messaggio (la Juve ruba – ho già spiegato in passato di come sia in realtà una leggenda metropolitana), è stato trovato l’alibi perfetto dalle altre società (non siamo noi incapaci, la Juve ruba), dai calciatori avversari (non siamo noi scarsi, la Juve ruba), dalle federazioni, tipo Lega di Serie A e FIGC (non siamo noi incompetenti, la Juve ruba), persino dalle istituzioni europee e mondiali (non siamo noi corrotti, la Juve ruba).
Ora, posto che chi ha un minimo di capacità critica e si vada a leggere le carte e le sentenze del 2006, capisce che la Juventus, in quel momento, era l’alibi perfetto per un sistema al collasso (che ancora non sapeva di esserlo); supponendo anche che non fosse così, e che veramente si sia pagato il giusto, adesso però devono inventarsi qualcosa, per forza, perché nel 2006 è stato fatto quello che è stato fatto, e non era un ergastolo. La pena, giusta o ingiusta che fosse, è stata pagata, quindi si sono dovuti inventare qualcos’altro.
Quale migliore alibi del solito “la Juve ruba”? Ma sì, basta riproporre quello! Se ha funzionato 16 anni fa, perché non dovrebbe funzionare ancora?
Qui casca l’asino, come mi disse il prof di greco una volta che inciampai andando alla cattedra per un’interrogazione. Ci sono due piccole differenze, infatti, rispetto ad allora.
Stavolta c’è qualcosa che nel 2006 non c’era, e cioè una società con spalle larghissime. Al tempo di truffopoli l’accomandita della famiglia, meglio nota come “Giovanni Agnelli e C.”, non era in mano agli eredi, ma a gente che con la famiglia c’entrava fino ad un certo punto. Vi faccio una piccola cronistoria tratta da Wikipedia:
Secondo lo statuto il comando della società in accomandita per azioni era in mano a Gianni Agnelli e, se egli non fosse più stato socio accomandatario, sarebbe dovuto passare a Giovanni Nasi, che però è morto nel 1995.
Nel 2003 quando Gianni Agnelli muore, viene designato nuovo presidente il fratello Umberto Agnelli.
Alla scomparsa di Umberto dell’anno seguente, gli subentra Gianluigi Gabetti.
Nel 2010 Gabetti lascia e diventa nuovo presidente John Elkann, nipote di Gianni Agnelli.
Quindi nel 2006 c’era Gianluigi Gabetti che, pur essendo stato per larga parte della sua vita vicino alla famiglia Agnelli, ne era consulente, non membro. Cosa che da quelle parti ha un certo valore. Insieme a lui, in quel periodo, gestiva la Juventus anche Franzo Grande Stevens, presidente dall’agosto del 2003, al posto del defunto Vittorio Caissotti di Chiusano.
La prima cosa che fece Elkann, appena prese le redini della “cassaforte” di famiglia, fu mettere Andrea Agnelli (suo cugino, e, come lui, uno dei proprietari) come Presidente della società, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti: Andrea è diventato il Presidente che ha vinto più trofei nella centenaria storia della famiglia a capo del club.
Nel 2006 la Juventus, di fatto, non si difese, perché a nessuno del management del tempo interessava l’esito del processo. Che, ricordo, come scritto a pag. 76 della sentenza, vide la Juventus condannata per
“l’alterazione della classifica a prescindere dall’alterazione di singole partite”.
Non voglio tediare con cose dette e ridette, però ho fatto questo piccolo riassunto per arrivare alla differenza di cui parlavo prima: stavolta la famiglia c’è, e, tra l’altro, ha incaricato un importantissimo studio legale di seguire la faccenda attuale.
Differenza numero due. Nei primi anni Duemila pochi avevano un tablet o un telefono abbastanza avanzati da permettere di spedire un file; inutile che vi spieghi la differenza con i tempi attuali. La possibilità di avere un computer in tasca porta sicuramente dei vantaggi, sia per immediatezza di comunicazione sia grazie alla possibilità di filtrare le fonti. Allo stesso tempo, però, anche gli “avversari” hanno una cassa di risonanza notevole, che in passato era praticamente solo sulla carta stampata.
Su questo, prima di passare al riassunto degli avvenimenti degli ultimi tempi, vorrei spendere due parole.
In primis, comprendo benissimo chi ci odia. Non li giustifico, ma li capisco.
Quando ero ragazzino, intorno ai 7-8 anni, iniziai a seguire la Juventus. Però sono nato a Taranto, quindi con alcuni amici e colleghi, ho sempre seguito anche il Taranto calcio. Non vi sto qui a raccontare nel dettaglio la storia di quella squadra, tra l’altro fallita più volte e più volte ripartita da zero; il Taranto è la squadra con più partecipazioni alla Serie B (31) fra quelle che non sono mai approdate in Serie A, oltre a rappresentare la più popolosa città d’Italia che non è mai approdata nella massima serie.
Concludendo, non ha mai vinto niente. Quindi comprendo che i tifosi delle squadre che hanno vinto 1, 2 o 3 campionati in più di 100 partecipazioni, mentre vedono sempre le solite arrivare davanti (la proporzione, in Italia, è di circa 30% di vittorie della Juve, 30% delle milanesi e 40% di tutte le altre) siano livorosi e invidiosi. Comprendo ma non li giustifico. Perché io, da tifoso del Taranto, non ho mai insultato o augurato il male ai tifosi di altre squadre solo perché hanno vinto più del Taranto.
Quello che sta succedendo in questi anni sta raggiungendo delle vette di disagio assoluto. Tifosi che augurano malattie, traumi, anche la morte, non solo ad altri tifosi, ma anche a giocatori che malauguratamente scelgano un’altra squadra. Non che i tifosi della Juve abbiano l’aureola, ma ci sono tifoserie “avversarie” che veramente esagerano. Per cosa? Per uno sport? Mah.
Io vissuto tutta l’infanzia in provincia di Napoli, che da juventino non è il massimo, ma neanche drammatico. Quando sono andato a vivere a Napoli, nell’84, già è stato diverso. Mi dicevano “ma perché tifi Juve, ma tifa Napoli”: sinceramente la prendevo sempre con goliardia, rispondendo “ma a te, cosa cambia?”.
Poi, però, andando allo stadio, ho capito che non scherzavano, anzi. Ho visto scene inenarrabili. Tutto questo non è sano. Il problema è che il tifo, prima relegato allo stadio e al massimo al bar del paese o del quartiere, adesso si è spostato ai luoghi di lavoro, alle caserme e ai tribunali, che sono impregnati di questa visione malata dello sport.
A me è successo, qualche volta, arrivato in un nuovo posto di lavoro, che mi chiedessero per che squadra tenessi. Ma è così importante? Ho visto gente presa in giro perché tifosa di un’altra squadra rispetto al “capo”. Così non va bene, ripeto, è una visione malata del mio modo di intendere lo sport.
Così, sia i media mainstream, stampa e televisioni, e le procure, non solo quelle dello sport, si sono riempite di “tifosi”, che non parlano più lucidamente, ma con le menti obnubilate dalla passione per i propri colori.
Ho citato Napoli non a caso.
Come è stato fatto notare da qualcuno, proprio dal capoluogo campano partono spesso le indagini e le campagne mediatiche contro la Juventus. Con il risveglio di quel “sentimento popolare” che tanti miei compagni di tifo temono. Personalmente non lo temo, perché il “sentimento popolare”, vivo e vegeto dagli anni ’60, non ha mai vinto titoli. Né ci ha impedito di vincerne, anzi.
Comunque, dicevo, procuratori federali di chiara e dichiarata fede per la squadra azzurra che perseguitano la Juve e il suo presidente anche in un’inchiesta in cui la Juventus è parte lesa (Alto Piemonte), inventando, ripeto inventando un’intercettazione ambientale e costringendo la Commissione Antimafia a convocare il Presidente.
Investigatori di chiara e dichiarata fede azzurra che passano ad arte le intercettazioni alla stampa (anche in quel caso, giornalisti di fede azzurra o tutt’al più nerazzurra) in modo da alimentare quel sentimento popolare di cui parlavo: si è verificato nel 2006 (”Piaccia o non piaccia agli imputati non ci sono mai telefonate tra Bergamo o Pairetto con il signor Moratti”), si è verificato due anni fa con il famigerato caso Suarez.
Il paradosso è che, nonostante tutti gli accusati siano stati prosciolti da ogni accusa in entrambi i casi (Suarez e Alto Piemonte), la maggior parte delle persone, ed anche qualche addetto ai lavori, continua a fare l’occhiolino e a dire “eh, ma Suarez”, “eh, ma la mafia collusa con la società”.
E qui c’è il punto nodale di tutto il discorso.
L’indagine attualmente in corso sembra peggiore di tutte quelle passate, ma in realtà non lo è (e il Giudice per le indagini preliminari lo ha ribadito in maniera anche abbastanza secca); la cassa di risonanza sta lavorando, però, e la maggiore montagna di melma arriva sempre dai soliti (fede azzurra o nerazzurra), che stanno alimentando e sostenendo questo clima di odio.
Finora, infatti, sono state diffuse ad arte le sole tesi dell’accusa, ed intercettazioni che coinvolgono anche persone non indagate, la cui vita viene messa in piazza per questa famigerata fame di giustizia. Che poi non è fame di giustizia. È voglia di vedere la Juve punita, anche se innocente.
Perché, come ha scritto un amico giornalista:
“chi viene assolto non è un colpevole che è stato perdonato, ma un innocente che era stato accusato ingiustamente”.
Ma agli untori non interessa, l’importante è che si dica che la Juve ruba. Peggio per loro. Però attenzione, qualcuno se n’è accorto (il Ministro della Giustizia, ad esempio, che non è proprio l’ultimo degli arrivati). E continuare ad infangare la Juve potrebbe essere dannoso.
Il calcio, così come altri settori, risente della crisi che porterà il cosiddetto Occidente (Europa, Nord America, Oceania) a produrre il 30% del PIL mondiale, dal 70% che aveva in passato. Solo che, esattamente come l’orchestra del Titanic, continuiamo a suonare mentre la nave affonda.
Nel calcio, ma non solo nel calcio (qui però parlo di quello), tutti i posti che contano sono sempre più ricoperti non da professionisti capaci, ma da chi assicura e si assicura potere e rete di amicizie e conoscenze.
Il calcio, il movimento calcio, ma non solo quello, si deve guardare dentro e magari provare a rifondarsi, soprattutto nella mentalità. Bisogna mettere i manager a fare i manager, i direttori a fare i direttori e gli scout a fare gli scout. E iniziare a mandare via gli affaristi, gli amici degli amici, gli ex compagni di merende.
Siamo a un bivio. Sta a noi decidere da che parte stare. Io, intanto, torno in pausa e finisco di scrivere il libro sulla mia amata Juve. Che, come noto, non muore letteralmente mai.

Di FRANCESCO DI CASTRI

Luogo

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Torino, IT 10151 Italia
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