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GRAZIE DI TUTTO MIO CAPITANO | DI WILLY SIGNORI
Gennaio 10

GRAZIE DI TUTTO MIO CAPITANO | DI WILLY SIGNORI
La dolorosa consapevolezza che porta in dono l’età adulta è quella di avere una data di scadenza. Anche se non è un pensiero fisso o ricorrente e la quotidianità prende il sopravvento, la vita trova sempre il modo, doloroso di solito, di ricordarcelo.
La lotta che ognuno prova a ingaggiare contro questo destino inevitabile è nella possibilità di lasciare il segno, qualcosa di personale che rimanga anche dopo, che ci sopravviva.
Solo a pochi eletti però è concesso di segnare il cuore di tante persone, anche lontane e sconosciute. Gianluca Vialli è stato uno di questi. Un uomo fortunato e noi con lui ad averlo vissuto.
La scomparsa acuisce il dolore sottile e affilato come una lama che ci penetra in fondo, poco cambia se eravamo preparati dalle notizie che rimbalzavano da giorni sui social come palline matte, e anche se noi come portieri davanti a un calcio di rigore abbiamo provato a prepararci, a intuire dove sarebbe andata ad infilarsi quella spada, siamo stati lo stesso spiazzati, trafitti.
Nulla da fare, il dolore, condiviso e per questo non mimetizzabile, c’è, si vede e si sente, e lo capisci quando parli con gli altri che come te si sono riconosciuti nello stesso capitano, con la fascia azzurra e il numero 9 sulla schiena. Uno sguardo, una parola, un messaggio solo con 3 puntini.
Gianluca Vialli è stato un giocatore dal carisma senza pari, straordinario attaccante, all’avanguardia sui tempi, intelligente in campo e fuori, capace di crescere e mettere a frutto il suo smisurato talento, evolvendo nel tempo.
Veloce, potente, tecnico, forte in acrobazia, abile col destro, col sinistro e anche di testa. Se dovessimo dargli i voti forse non prenderebbe 10 in nessuna categoria, ma 9 dappertutto.
È stato il capitano di una squadra straordinaria, interprete perfetto di quella Juve che Lippi disegnò a sua immagine e somiglianza, come in una di quelle storie in cui il destino sembra aver decretato che due strade debbano incontrarsi. È stato il nostro capitano.
Vialli è stato anche un uomo colto, dallo sviluppato pensiero laterale, intelligente al punto da sapersi prendere non troppo sul serio, capace di cogliere i dettagli invisibili ai più, bravo comunicatore in un’epoca senza social, in cui trovare un collega che riuscisse a mettere due parole in fila era una caccia al tesoro.
Soprattutto, però, Gianluca Vialli è stato un uomo libero, per rubare le parole che usò Brera descrivendo Nereo Rocco “avendo avuto una nascita indipendente, non da fattore ma da artigiano, ha sempre avuto la certezza di avere il pane e questo gli ha consentito sempre di essere un uomo libero”. Libero appunto, da condizionamenti, libero nel pensiero, nel viaggiare più alto delle miserie comuni anche nel mondo che ha frequentato.
Capace di emozionarsi, di non vergognarsi delle sue fragilità. Libero di essere uomo.
Col passare dei giorni il dolore è più grande perché se n’è andato non solo uno che ha fatto la storia della Juve, ma che ha scritto un pezzo anche della nostra personale storia, di noi singoli individui: di chi l’ha visto giocare, di chi invece era troppo giovane per ricordarlo, di quelli, come chi vi scrive, che l’ha vissuto in gioventù, nel momento in cui passioni e innamoramenti sono più intensi e l’identificazione coi tuoi eroi è totale e totalizzante. Che bello è stato avere Gianluca Vialli come capitano.
Ora c’è solo quel vuoto, sordo, che cresce di giorno in giorno, tra un sogno di notte e un pensiero di giorno, il rammarico di non poterlo più abbracciare, incontrare o solo stringergli la mano, salutarlo da lontano oppure farsi coraggio, avvicinarlo, magari ricambiando quella gentilezza che lo ha sempre contraddistinto, semplicemente guardarlo negli occhi, e dirgli soltanto “grazie di tutto, mio capitano”.