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IL SOGNO DI UN BAMBINO | DI FRANCESCO DI CASTRI

Gennaio 26

IL SOGNO DI UN BAMBINO | DI FRANCESCO DI CASTRI

Vi racconto una storia di calcio.
Negli anni ’70 il mondo era molto diverso da quello odierno, e chi c’era non può che confermarlo.
Sono gli anni in cui entrò in crisi il mondo intero, tutto quel mondo che aveva tutto sommato finito di ricostruire dalle macerie della Seconda guerra mondiale, il mondo legato alla crescita economica, con la supremazia degli Stati Uniti e con la guerra fredda.
Una crisi che creò una rivoluzione che mise le basi per quello che stiamo vivendo adesso, e che chiamiamo globalizzazione.
Io sono nato nel ’68 e quattro anni dopo, nel ’72, grazie (o a causa, dipende dai punti di vista) al lavoro di mio padre mi sono trasferito da Taranto alla provincia di Napoli.
Grazie al fatto che spostarsi costava relativamente poco (la crisi petrolifera del ’79 era ancora lontana) e poiché i miei parenti erano rimasti tutti al Sud (mi ha sempre divertito scherzare su questa cosa, ma effettivamente, emigrando a Napoli, ero andato a “Nord”), spesso con la mia famiglia si tornava giù dai nonni e dagli zii.
Zio Pasquale, poi, era un tifosissimo rossoblù.
A metà anni ’70 fece scalpore l’acquisto dal Mantova (prestito poi divenuto definitivo, mi pare) di un venticinquenne di belle speranze, molto bravo nei colpi di testa, anche se non altissimo: Erasmo Iacovone.
Lo voleva la Fiorentina, ma il patron del Taranto non badò a spese e lo comprò dal Mantova per 400 milioni di lire (un’immensità per una squadra di B, basti pensare che Platini nell’82 fu pagato dalla Juventus 250 milioni).
Prima di iniziare a seguire a tempo pieno la Juventus, era il Taranto la squadra del mio cuore: non c’erano i media attuali, le notizie locali arrivavano prima, ed era molto più semplice seguire una squadra “locale” che una “grande”, pur di serie A. E poi era l’unico mezzo che avevo per contrastare i miei “nuovi” compagni di classe di Pomigliano, quasi tutti, ovviamente, tifosi del Napoli.
“Petrovic, Giovannone, Cimenti, Panizza, Dradi, Nardello, Gori, Romanzini, Iacovone, Selvaggi, Turini” diventò il mio mantra domenicale. In campionato la stagione ’77-78 iniziò benissimo. Alla fine del girone di andata, a parte l’Ascoli, troppo forte, Taranto si giocava la promozione con Avellino, Catanzaro, Monza, Ternana e Lecce, sei squadre per due posti. Erasmo Iacovone era capocannoniere con otto gol al pari di Palanca del Catanzaro e Pellegrini del(la) Bari.
Poi, il 6 febbraio 1978, la fine di tutto, la fine di quel sogno.
Il sogno di Erasmo, spezzato da un delinquente che, scappando a velocità folle, prese in pieno la Dyane del calciatore uccidendolo praticamente sul colpo. Il sogno di una donna, Paola Raisi, fresca sposa di Erasmo, e incinta al quinto mese di gravidanza. Il sogno della passione calcistica di un’intera città, che non tornerà MAI più (calcisticamente) a quel livello.
Il sogno di noi bambini. Perché era quello, per noi, il calcio. Un sogno.
Un sogno quando zuppi di sudore, di giorno, di sera, con il sole o con la pioggia, dicevamo a chi ci era venuti a prendere nel vicolo dietro casa (che per noi era il Maracanà), “Papà, ancora dieci minuti!”, anche se non eravamo bravi, anzi, qualcuno era proprio scarso, ma il sogno di tutti era lo stesso, segnare un gol ed esultare mimando di avere i baffi, proprio come li portava Erasmo.
Quel giorno piansi, e attraverso le lacrime che mi rigavano il volto giurai a me stesso che mai più avrei seguito il calcio.
Ma ero solo un bambino, e dall’estate, iniziando a seguire i mondiali, vidi una squadra azzurra proprio forte, ed iniziai a dire “Zoff, Gentile, Cabrini…” e così via, negli anni avvenire, quella squadra bianconera che iniziava uguale, e poi con “Tacconi, Favero, De Agostini…” e dopo “Peruzzi, Porrini, Pessotto” o anni dopo “Buffon, Barzagli, Chiellini”.
E quel sogno è cresciuto insieme a me, nelle tante trasferte (lo confesso, quasi solo i Derby, che ho visto diciassette volte, più svariate partite di coppa) partendo ad ore improbabili e rientrando ad orari ancora peggiori, è cresciuto insieme a me quando ho cambiato il lavoro di una vita, è cresciuto insieme a me quando mi sono sposato, quando ho avuto un figlio.
Il dramma di chi tifa un calciatore e vede la sua vita tragicamente spezzata, quando per un incidente, come Iacovone, o per una malattia, come Fortunato, per un malore, come Astori, ma anche quando vanno via da “ex” calciatori, come Mihajlovic, Vialli, Rossi, Pelè, o il povero Scirea, è un dramma immenso, inversamente proporzionale all’età del tifoso.
Quando si è piccoli si piange come se fosse andato via uno di famiglia. Da adulti il più delle volte ce ne si fa una ragione, sappiamo che la vita a volte è ingiusta e non tiene conto della bontà delle persone.

Il calcio dovrebbe comunque restare un sogno.
Quel sogno (soprattutto a noi bianconeri, ma non si illudano i tifosi degli altri colori) ce lo stanno portando via, ormai da anni, un pezzettino per volta, così che non ce ne rendiamo conto.
Troppe volte il calcio è cambiato, troppi interessi, troppi soldi, troppa gente che con lo sport non c’entra assolutamente niente.
Un mondiale disputato in un posto dove per costruire gli stadi hanno usato gli schiavi. Il silenzio di tutte le istituzioni calcistiche dovrebbe far capire che l’intento è quasi raggiunto.
La Uefa che fa gli spot per la Commissione Europea e la Commissione Europea che dice che la Uefa ha il monopolio però non fa niente, dai, la Uefa può. La FIFA che osteggia la Superlega per annunciare una… superlega… La federazione italiana con la sua “giustizia”, con i suoi “procuratori” e con i suoi “giudici”.
Ci stanno riprovando.
Stanno riprovando ad uccidere quel sogno, definitivamente.
Forse, però, hanno sbagliato, stavolta. Perché a loro non interessa più lo sport. Interessa il controllo, e il controllo lo ottieni controllando i soldi. Il flusso dei soldi.
Forse, stavolta, hanno sbagliato. Perché non hanno capito che il flusso dei soldi parte da noi. E se ci uccidono il sogno, i soldi non partono più.
A differenza di quanto accaduto due anni fa, quando qualcuno si era illuso che la pandemia, le difficoltà e il lockdown ci avrebbero resi migliori, io credo che, con le dovute proporzioni e con i dovuti distinguo, questa, al di là di come finirà, deve essere un’occasione.
Quante volte sentiamo dire che la bravura di un manager sta nel trasformare un problema in un’opportunità? Quello che sta accadendo ci sta dando un’occasione, diventare manager di noi stessi e trasformare questi accadimenti in un’opportunità.
Vedo mio figlio giocare alla playstation e mi chiedo “cosa farà da grande?”, “dove sarò io quando si laureerà?”, “sarò ancora vivo quando mi darà un nipotino?”. Questi sono i sogni veramente importanti, quelli fondamentali, la vita, la famiglia, gli affetti. Se a un uomo togli quelli, lo abbrutisci.
Ma anche la passione per il calcio, per una disciplina sportiva, anche andare allo stadio, fare la fila per gli autografi, scrivere un libro sulle gesta dei calciatori di un tempo, anche quelli sono modi di sognare.
E nessuno ha il diritto di toglierceli. Perché NESSUNO ha il diritto di togliere i sogni dalla testa di un bambino.

Di FRANCESCO DI CASTRI